Come cambia la struttura del settore ICT e digitale
Gli ultimi dati rilasciati da ISTAT per il settore ICT e digitale in Italia, relativi al 2014, mostrano andamenti contrapposti per la numerosità delle aziende e degli addetti, con le prime in crescita e i secondi in calo. Il numero delle aziende attive nel settore ha mostrato un’inversione di tendenza, con un incremento dello 0,4% a 102.330 (Fig. 1), dopo il calo dell’1,1% rilevato nell’anno precedente.
“Evolvono i portafogli d’offerta ed evolvono anche i modelli go-to-market”
Il risultato complessivo consegue a dinamiche differenziate nei vari comparti. Il numero delle imprese di Hardware e di Telecomunicazione si è contratto rispettivamente del 4,6% e dell’1,3%. La maturità dei segmenti ha comportato un crescente consolidamento nei due settori, derivante in gran parte da operazioni di fusione e acquisizione, e in alcuni casi da cessazioni d’attività. È così calato anche il numero di aziende del canale all’ingrosso (-5,1%) in quanto parte integrante delle filiere dei due settori. In controtendenza positiva sono apparsi i segmenti del Software e dei Servizi, con numeri di imprese cresciuti rispettivamente dell’1,1% e dell’1,8%. In questi segmenti hanno giocato in positivo le tematiche della Digital Transformation, con l’avvio nelle aziende utenti di progetti orientati ai nuovi paradigmi digitali.
Le aziende del settore ICT e digitale continuano a essere polarizzate maggiormente nel Nord Ovest, dove si colloca il 34,8% del totale; poi nell’Italia Centrale, con il 22,7%. La concentrazione nelle aree citate è dovuta anche all’elevata presenza di operatori multinazionali in Lombardia e Lazio, che sono le regioni in cui si concentra la domanda ICT. Di poco inferiore è l’incidenza del Nord Est, pari al 21,7%, mentre nel Sud e Isole, non si va oltre alla quota del 20,8%.
Per gli addetti e sempre per il 2014, i dati ISTAT mostrano una contrazione del 2,3%. Il calo è trasversale a tutti i comparti, con picchi negli ambiti Hardware e Telecomunicazioni (rispettivamente -9,9% e -6,2%) e con la sola eccezione del settore dei Servizi, caratterizzato da un incremento degli addetti del 2,8% (Fig. 2). La contrazione in area Software (-4,4%) è riconducibile a iniziative di razionalizzazione degli organici, soprattutto da parte di multinazionali, e a una migrazione di risorse verso il comparto Servizi, in cui lo sviluppo Software gioca un ruolo di primo piano.
In allineamento alla distribuzione geografica delle aziende ICT, anche l’occupazione ICT è concentrata soprattutto nel Nord Ovest (40,5% degli addetti totali) e al Centro (31,3%). Nel Nord Est e nel Sud e Isole si collocano rispettivamente il 17,8% e il 10,4% degli addetti.
Principali cambiamenti nei modelli di business del settore Software e Servizi
L’ecosistema degli operatori ICT non è esente dalla portata rivoluzionaria della Digital Transformation e dagli effetti di un contesto di mercato con sfide e attori diversi rispetto a solo pochi anni fa. Sono due, gli elementi che più caratterizzano il mercato ICT: le politiche di contrazione dei budget messe in atto dalle aziende utenti; la profonda evoluzione della domanda di prodotti e servizi, guidata dal processo di trasformazione già descritto nei capitoli precedenti e che vede nel Cloud Computing, nei Big Data, nell’IoT, nel Mobile e nella Cybersecurity i fattori abilitanti, cui oggi si vanno affiancando le tematiche Industria 4.0, Artificial Intelligence, Blockchain, Cognitive Computing.
Per mantenere e migliorare il posizionamento competitivo, gli operatori ICT – in particolare i player in ambito Software e Servizi - stanno avviando azioni per rendere più efficace sia l’offerta di prodotti e servizi che la loro erogazione agli utenti finali.
Sul primo fronte, si sta assistendo a una profonda rivisitazione dei portafogli di offerta. Chi opera nel software punta, in prima battuta, alla migrazione delle soluzioni esistenti verso piattaforme Mobile e Cloud, nonché allo sviluppo di soluzioni mobili native con nuove funzionalità. C’è poi l’ampliamento dell’offerta verso le tematiche dei Big Data e dell’IoT, con un peso crescente delle piattaforme di Industria 4.0. In questi casi, sono protagonisti i player con competenze nella gestione/analisi dei dati e con skill verticali. Blockchain e CyberSecurity rappresentano frontiere tecnologiche indirizzate da operatori molto specializzati e, in alcuni casi, di nuova costituzione.
I service provider, invece, adottano i nuovi paradigmi digitali per il rinnovo dell’offerta tradizionale. Ciò riguarda in particolare il Cloud, fondamentale – soprattutto per gli outsourcer – per innovare le modalità di erogazione dei servizi aumentandone le performance. Questo, ad esempio, grazie al ricorso a macchine virtuali, all’ottimizzazione dei carichi di lavoro e all’adozione di sistemi di monitoraggio da remoto, in modo da raggiungere gli SLA desiderati con maggiore efficienza ed efficacia. La crescente diffusione di architetture Cloud impone anche l’ampliamento dei servizi di Outsourcing verso attività di Hybrid IT Management, dirette alla gestione di risorse e asset IT on premise, contestualmente al governo dei servizi Cloud-based.
Questa evoluzione determina per i player l’esigenza di rivedere anche i modelli di business e di go-to-market. Per il primo aspetto si segnalano:
- l’avvio di iniziative di R&D;
- la finalizzazione di partnership e alleanze (ad esempio con startup, OTT, digital agency) e di operazioni di M&A per l’acquisizione di nuove competenze su tecnologie di Digital Transformation;
- la costituzione di relazioni con nuovi partner di innovazione - Università, centri di ricerca, community di startup - in una logica di open innovation e di creazione di escosistemi in cui si condividono competenze, esperienze e conoscenze;
- investimenti per il recruiting di personale qualificato o l’avanzamento delle risorse già impiegate.
Per quanto riguarda i nuovi modelli di go-to-market, si sta assistendo a una profonda revisione del modello di gestione diretta del cliente, attraverso l’adozione di logiche di cooperation/ cocreation e l’ampliamento del numero degli interlocutori anche in aree diverse dai sistemi informativi.
Startup, nuovi player e nuove alleanze nel settore ICT
Nel corso del 2016 il legislatore italiano ha promosso ulteriori interventi a supporto delle Startup e delle PMI Innovative. Le policy introdotte hanno riguardato agevolazioni fiscali, promozione di pratiche di open innovation e internazionalizzazione, sburocratizzazione delle procedure di costituzione societaria e facilitazione dell’accesso al credito e ai finanziamenti. Fra le misure fiscali sono le agevolazioni per le realtà che investono in attività di ricerca e sviluppo (Credito di Imposta R&S) e che sfruttano le opere dell’ingegno (Patent Box): quest’ultima policy ha l’obiettivo di fornire un impulso in questo senso al contesto italiano, rendendolo maggiormente appetibile per gli investitori nazionali ed esteri. In generale, si tratta di misure che riguardano tutto il mondo imprenditoriale, ma che per loro natura appaiono particolarmente rilevanti per Startup e PMI innovative.
Tra le iniziative a supporto dell’internazionalizzazione, si è assistito all’avvio di #ItalyFrontiers, portale online di Infocamere che offre visibilità in rete a Startup e PMI innovative, e al rilancio dei programmi Italia Startup Visa e Italia Startup Hub, per velocizzare e semplificare le procedure di rilascio dei visti di ingresso nel nostro Paese a cittadini non UE che intendono avviare una Startup in Italia (fast track per permesso di lavoro autonomo startup).
La sburocratizzazione delle procedure di costituzione delle società è stata avviata con l’introduzione della modalità online per le Startup Innovative, consentendo ad esse di godere di un regime di gratuità e disintermediazione dell’attività in questione e della facoltà di sottoscrivere atto costitutivo e statuto da remoto mediante firma digitale, sulla base di modelli precompilati e personalizzabili. Tra le misure di impulso agli investimenti, si è provveduto alla semplificazione e al potenziamento della disciplina dell’equity crowdfunding, già prevista dal Decreto Crescita 2.0, estendendola anche ad altri soggetti (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio e società di capitali che investono in Startup Innovative), nonché all’avvio di politiche per facilitare l’accesso al credito alle realtà innovative (attraverso i provvedimenti dell’Investment Compact e del Fondo di Garanzia).
Gli effetti positivi della semplificazione sono stati evidenti già nel 2016, con un incremento del 31% delle startup iscritte nell’apposita sezione del registro delle imprese. A dicembre 2016 si contavano 6.745 Startup Innovative, pari allo 0,4% delle società di capitale presenti in Italia. Tale quota, pur essendo costante nel tempo, sottende il consolidamento di un fenomeno significativo, soprattutto se si considera che dal 18 Dicembre 2016 un vasto numero di imprese, sono uscite dalla disciplina transitoria delle Startup Innovative per raggiunti limiti di anzianità.
Dall’analisi delle attività condotte dalle Startup Innovative italiane, emerge una netta prevalenza di aziende operanti con un modello di business B2B (servizi alle imprese); tra queste prevalgono come specializzazione la produzione software e la consulenza informatica (30,4%), le attività di R&S (14,4%) e di servizi di informazione (8,2%), in linea con quanto già rilevato nel 2015. A livello di distribuzione geografica, la Lombardia continua a essere la Regione con maggior numero di Startup attive (22,5% del totale), seguita da Emilia Romagna (11,4%), Lazio (9,8%), Veneto (8%) e Campania (6,4%). Analizzando invece la numerosità di Startup Innovative rapportata al totale delle società di capitali presenti a livello regionale, è il Trentino Alto Adige la regione con la maggiore incidenza di realtà innovative nel territorio (Fig. 3).
Analizzando la composizione della compagine societaria si evidenzia che in media ogni Startup Innovativa presenta 4 soci, coinvolti spesso direttamente nell’attività di impresa, con prevalenza maschile (solo il 14% le donne) e con un’età relativamente elevata: solo nel 23% dei casi la struttura organizzativa si compone prevalentemente di risorse under 35. Minima la quota di realtà con compagine a prevalenza straniera (2,7%).
Relativamente alle performance economiche, si rileva un valore della produzione medio pari a 144 mila euro e il 43% dell’universo registra un utile di esercizio (rilevazione su bilanci 2015). Circa le fonti di finanziamento, in fase di costituzione le Startup Innovative italiane si affidano prevalentemente all’autofinanziamento da parte dei soci (presente nel 74,2% del campione - Fig. 4).
Fonti secondarie, e decisamente residuali rispetto alla precedente, sono i finanziamenti pubblici, in particolar modo nel Mezzogiorno, e gli investimenti in equity da parte di privati (4,8% in entrambi i casi). Ci si attende che il ricorso a fonti di finanziamento da privati (venture capital, business angel, aziende, altro) aumenti a seguito dell’impulso della normativa sull’equity crowdfunding. In fase di crescita, quando la startup ha consolidato i valori economici e ha assestato il modello di business, si rileva un ricorso maggiore al credito bancario, pur restando le risorse proprie la fonte principale (Fonte #StartupSurvey – ISTAT).
Sul fronte normativo e dall’analisi delle performance economiche emerge un quadro positivo del comparto in Italia; tuttavia, pur incrementando in numero e nei risultati, la crescita non sta avvenendo a velocità paragonabili a quelle di altri paesi europei. I fattori che frenano lo sviluppo delle Startup Innovative nel nostro Paese sono riconducibili principalmente a due aspetti: carenza di investimenti da parte del venture capital e difficoltà di accesso al credito.
Sul fronte dei capitali di rischio, l’Italia registra un forte ritardo rispetto agli ecosistemi internazionali: gli investimenti nel 2016 in Startup sono stati pari a 200 milioni di Euro, un decimo rispetto a quanto rilevato in Francia e nel Regno Unito. Le Startup faticano a raccogliere capitali nel nostro Paese e le realtà di successo, sempre più spesso, si trasferiscono all’estero per accedere più facilmente ai finanziamenti. Inoltre, le Startup italiane riscontrano notevoli difficoltà nell’intercettare la domanda di innovazione nel nostro sistema. Esistono spesso barriere culturali, anche legate ad architetture tecnologiche obsolete, a integrare la soluzione di una Startup all’interno dei sistemi e dei propri processi.
Tuttavia, alcune aziende di grandi dimensioni hanno creato laboratori interni (innovation Lab) o attivato antenne tecnologiche presso terze parti che le supportano nelle attività di scouting sul mercato. C’è inoltre un forte interesse verso le Fintech, soprattutto da parte dei grandi gruppi bancari, con la nascita di fondi di investimento ad hoc o di incubatori che hanno come obiettivo quello di finanziare e supportare startup tecnologiche operanti nel finance.
A differenza di quanto avviene in USA o in altri paesi europei, tuttavia, non si assiste a operazioni di merger & acquisition di Startup Innovative da parte di grandi aziende o gruppi, preferendo strategie volte a mantenere rapporti di collaborazione o partnership, in modo da non costringere le aziende innovative all’interno di un’organizzazione e di processi che pongano eccessive rigidità e vincoli.
Nei prossimi anni si auspica che l’impulso conferito dalla normativa e le best practice portate avanti dalle aziende con maggiori capacità di spesa nel digitale spianino la strada per un decollo più deciso dell’ecosistema dell’innovazione in Italia.