Competenze digitali: le iniziative per colmare i gap
Le aziende sono sempre più consapevoli che la digitalizzazione impone trasformazioni nel business, nei processi e nelle relazioni con partner e fornitori. Gli impatti sono enormi anche sulle competenze interne e i gap che si vengono a creare: secondo uno studio McKinsey Global Institute del 2016, il 49% dei lavori oggi svolti nel mondo potrà essere automatizzato quando le tecnologie si saranno diffuse su scala globale. Tuttavia, solo il 5% delle professioni potrà scomparire in quanto totalmente automatizzata, anche se nel 60% dei lavori una buona parte di essi potrà essere svolta da robot o sistemi di intelligenza artificiale. In Italia, secondo lo stesso studio, potrebbero essere interessati dal processo di automatizzazione il 50% dei compiti, per un totale di 11,8 milioni di lavoratori. È inevitabile immaginare un fenomeno di “distruzione creatrice’’. Secondo l’ultimo Report “The Future of Jobs” (presentato al World Economy Forum nel 2016) gli impatti dell’innovazione digitale sono già visibili oggi e con un orizzonte 2017-2018, cui seguirà un’ulteriore fase di automazione per l’orizzonte 2018-2025. Un aspetto rilevante del fenomeno sarà il progressivo effetto di sostituzione del lavoro umano e la necessità di formare o introdurre nuove competenze nelle aziende. Ad oggi, l’impatto risulta molto più limitato in Europa rispetto agli Stati Uniti, ma la minaccia più rilevante deriva dal cambiamento strutturale nei task e nei modelli di organizzazione del lavoro.
“Competenze digitali: è importante fare evolvere anche quelle già presenti in azienda”
Le economie più virtuose stanno riuscendo a realizzare un bilanciamento tra distruzione di posti di lavoro obsoleti e creazione di nuovi impieghi, con l’effetto di elevare la qualità del mercato del lavoro interno. Per l’orizzonte temporale al 2025, in Europa le stime di Cedefop e Citi Research prevedono proprio la creazione di nuovi posti di lavoro a elevata qualificazione una netta diminuzione di quelli a bassa. In base alle stime della Commissione Europea, da oggi al 2020 rimarranno vacanti fino a 750 mila posti destinati ai professionisti dell’ICT. Ciò contrasta con la crescita della disoccupazione giovanile (15-24 anni) in Europa, che ha raggiunto il 20%, e con le basse competenze digitali della popolazione europea (circa il 45% dei cittadini non va oltre competenze digitali di base). Per far fronte alla possibile carenza di nuovi profili richiesti dal mercato, è stata avviata l’iniziativa Digital Skills and Jobs Coalition. Presentata nel giugno 2016, essa raccoglie più partner, tra cui oltre 30 organizzazioni e gruppi (European Digital Sme Alliance, Esri, Sap Ecdl e Google) e si impegna a ridurre il deficit in materia di competenze digitali. L’obiettivo è di colmare il gap di competenze, sia specialistiche in ambito ICT, sia quelle di tutti i cittadini per svolgere attività quotidiane.
Sarà fondamentale per ogni paese dotarsi di strumenti di monitoraggio in grado di analizzare e prevedere le professioni maggiormente richieste, per spingere sia l’offerta formativa sia la scelta universitaria verso gli ambiti emergenti, che saranno fondamentali per gli anni a venire.
Nelle aziende italiane sono diverse le attività avviate per colmare il gap di competenze digitali. Secondo l’Osservatorio delle Competenze Digitali 2017, spiccano le azioni per l’introduzione di nuove competenze dall’esterno, essenziali per generare un effetto contaminazione sostenere la riconversione di competenze già presenti in azienda.
Le principali azioni che le aziende stanno intraprendendo per il reperimento dei nuovi profili dall’esterno riguardano principalmente il ricorso a network professionali e personali, le attività di recruiting tradizionale (società di selezione, head hunter, agenzie), ma contano anche l’impiego dei Social Media e le interazioni più strette con l’Università, in particolare con le facoltà tecnico-scientifiche. Un altro canale per l’accesso alle nuove competenze è quello del crowdsourcing, imperniato su piattaforme online di community che rendono disponibili nuove professionalità in maniera flessibile e rapida, anche sotto forma di servizio.
Per quanto riguarda la riconversione e l’aggiornamento delle competenze già presenti in azienda, le iniziative riguardano principalmente i corsi di formazione su nuove piattaforme tecnologiche, le attività di training on-the-job, i corsi di formazione su soft skill, le attività di coaching e mentoring e la creazione di gruppi interfunzionali. Altro mezzo per la formazione rimane poi il self training online.
Persistono tuttavia diverse criticità. In base ancora ai dati dell’Osservatorio delle Competenze Digitali 2017 (Fig. 6), le principali difficoltà che le aziende incontrano nel recruitment di nuove competenze sono la mancanza sul mercato delle professionalità richieste (per il 51,1% delle aziende), i limitati budget disponibili (per il 35,6%), la distanza tra i bisogni dell’azienda e le professionalità formate dalle scuole e dalle Università (33,3%) e la difficoltà nell’individuare i canali attraverso cui contattare le persone che possiedono le competenze richieste (33%).
Ci sono poi anche le barriere nel far evolvere le competenze già presenti in azienda, tra cui spiccano gli elevati costi nascosti (tempo sottratto ad altre attività importanti), gli elevati costi della formazione esterna e di un aggiornamento sistematico.
Per contro, un’importante azione intrapresa è rappresentata dal Piano del Ministero dell’Istruzione per colmare il ritardo degli studenti italiani proprio per le competenze digitali: il progetto prevede un investimento di 80 milioni di euro e rientra nel Programma Operativo Nazionale (PON). Il principale obiettivo è quello dello sviluppo delle competenze digitali fra gli studenti e per la didattica innovativa secondo due linee guida: la prima riguarda le “competenze di cittadinanza digitale”, la seconda il “pensiero computazionale e la creatività digitale”. Nel primo ambito, l’obiettivo è di creare consapevolezza tra gli studenti sull’utilizzo dell’informazione online, della rete e dei dati, e dare gli strumenti per valutare la qualità, l’integrità e la veridicità delle informazioni. Il secondo ambito riguarda la necessità di riportare le basi dell’informatica e della programmazione nelle scuole, lo sviluppo del pensiero logico e la capacità di risolvere i problemi a livello interdisciplinare.