Da qualche tempo si avverte un’atmosfera di ripresa. I segnali sono però incerti e per il nostro Paese le attese rimangono al di sotto della media europea.
Su questo influisce un debito pubblico che lascia pochi margini a manovre espansive, ma soprattutto grava un problema di efficienza a livello di sistema pur in presenza di potenzialità enormi, come dimostra l’andamento delle esportazioni.
Ecco il punto. Ci sono componenti che spingono e altre, troppe, che frenano sull’onda della conservazione, generando asimmetrie e dispersioni che non permettono di ripartire con vigore.
Dire che bisogna riqualificare la spesa pubblica, fare più innovazione, aumentare le dimensioni d’impresa e puntare sulle attività a maggior valore aggiunto, non basta. Bisogna farlo e in questo gioca un ruolo essenziale la digitalizzazione con le sue potenzialità, a partire dalla PA e dalla piccola impresa. Nella ricerca di una maggiore efficienza di sistema, una PA innovatrice attraverso l’ICT è fondamentale.
Permetterebbe l’ammodernamento dei processi propri e dei servizi a cittadini e imprese, incidendo sui veri costi dell’inefficienza pubblica. Aiuterebbe a imporre all’intero sistema un salto di qualità. E in fase di economia debole sarebbe, con la sua domanda di soluzioni evolute, volano di sviluppo e sostenibilità per un settore strategico, quale è quello dell’ICT. Eppure, si continuano ad accumulare ritardi, come dimostrano il calo degli investimenti e i ritardi dell’Agenda Digitale. È essenziale un cambio di passo.
Altrettanto importante è l’inclusione delle piccole imprese nei processi di innovazione. Un buon numero di esse ha già colto le potenzialità dell’ICT: è anche grazie ad essa che nei distretti del made in Italy le specializzazioni e i processi si integrano e concorrono a esprimere capacità d’insieme paragonabili a quelle delle multinazionali. Ma si tratta ancora di una minoranza di casi rispetto al gran numero di piccole imprese in Italia, che invece investono ancora troppo poco in ICT. Si pone sempre l’accento sulla fiscalità e la crisi, ma è palese che c’è ancora una limitata percezione del potenziale dell’innovazione digitale. Autorità di governo e leadership imprenditoriale devono avviare azioni di sensibilizzazione e formazione su vasta scala.
Da anni nei paesi dove più si investe in ICT, più crescono la produttività e il PIL. E poi, ancora, è in quei paesi che sono migliori le dinamiche dell’occupazione anche delle fasce più giovani. In Italia la percentuale di inoccupati supera il 40% fra i più giovani e, soprattutto, sfiora il 20% fra chi ha tra 25 e 34 anni, quella che più conta: lì sono i diplomati e i laureati su cui già si è investito per farne la forza futura (e poco utilizzata) del Paese. Anche a questo riguardo è opportuno che maturi rapidamente la consapevolezza dell’impatto della digitalizzazione in Italia. Essa non solo è condizione di innovazione diffusa e rilancio, ma anche di un innesto naturale ed esteso dei giovani in tutti i settori produttivi, che oggi più che mai sono chiamati a innovare e osare per il loro futuro e quello della società in cui viviamo.